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Parlami di te: una commedia sulla fragilità umana basata su una storia vera

  • Immagine del redattore: Gaia Bonomelli
    Gaia Bonomelli
  • 2 lug 2020
  • Tempo di lettura: 7 min

Commenta la logopedista Alessandra Duca





Immaginate di ricoprire una posizione lavorativa importante, di dare ordini a chiunque vi stia intorno e di essere talmente assorbiti dal lavoro da esservi preclusi ogni legame sociale e famigliare. Ecco, ora state rivestendo i panni di Alain, il protagonista di Parlami di te.

Il film è una commedia francese molto attuale perché parla di come il ritmo frenetico della società in cui viviamo e il clima di continua competizione a livello lavorativo siano in grado di condizionare non solo la nostra salute fisica e mentale, ma anche le nostre relazioni sociali.

Il protagonista del film, interpretato da Fabrice Luchini, è un uomo d’affari, stressato (da qui il titolo in lingua originale) e concentrato solo sul proprio lavoro a tal punto da disinteressarsi della propria figlia. Un giorno, dopo essersi sdraiato nel suo ufficio sul pavimento di moquette dipinto con onde del mare, viene colpito da un ictus che gli causa gravi problemi di memoria e linguaggio. Durante la riabilitazione Alain incontra Jeanne (Leïla Bekhti), una logopedista che lo aiuterà non solo a riacquistare le abilità perse, ma anche a guardare la vita da un’altra prospettiva.


La pellicola affronta tematiche quali la fragilità della vita e la resilienza. Alain si ritrova da un giorno all’altro da essere un uomo in carriera a dover usare un’agenda per evitare di perdersi per strada. Oltre alla parziale perdita di memoria, l’uomo passa da una situazione di pieno controllo del proprio eloquio a una in cui pronuncia frasi sconnesse come: “Mangiare musica con l’uovo di giornale. Prendere arancia e divano per illuminare la suola. La samba della notte verde”.

Il film è molto interessante e indaga nel profondo alcune possibili conseguenze dovute a un ictus. Ho chiesto a Alessandra Duca, giovane logopedista, che cosa succede esattamente a livello lessicale a una persona che subisce un trauma simile.


“Tra le principali conseguenze che possono verificarsi in seguito a un ictus cerebrale c’è l’insorgenza di un deficit del linguaggio: si parla di afasia. La persona afasica ha difficoltà a esprimersi e/o a comprendere ciò che gli viene detto. A volte viene alterata anche la capacità di scrivere e leggere.

Per capire cosa succede alla persona con afasia possiamo immaginare di trovarci in un paese straniero di cui non conosciamo la lingua: diventa difficile per noi esprimere le nostre necessità e, allo stesso tempo, non riusciamo a comprendere cosa ci dicono le altre persone. La comunicazione risulta fortemente limitata e così anche le attività più semplici, come seguire una conversazione, diventano difficili.

A seconda dell’area cerebrale colpita e dell’estensione della lesione, possono presentarsi disturbi afasici differenti. Nel caso di Alain, il protagonista del film, il linguaggio è fluente (non ha blocchi o interruzioni), ma risulta incomprensibile per chi lo ascolta. Quando i familiari lo vanno a trovare all’ospedale, Alain inizia a parlare associando parole esistenti ma che non hanno un nesso logico tra loro (si parla di gergo). Inoltre, possiamo dire che c’è un deficit di consapevolezza, definito anosognosia: Alain non si rende conto che quello che dice non ha senso. Questo disturbo, che aggrava il deficit di comunicazione, è spesso presente nei pazienti con afasia di tipo fluente”.




Nel film, Alain intraprende la terapia controvoglia. La frase che ripete più spesso in ospedale è: “Voglio cucire da qui e tornare al mio traforo”. La cosa a cui pensa in continuazione è infatti il proprio lavoro. Fare terapia gli sembra una perdita di tempo e così decide di ritornare a casa, obbligando la logopedista a svolgere i trattamenti fuori dalla struttura ospedaliera. Alain non si capacita che un uomo come lui possa aver subito un ictus e quando l’ortofonista inizia a svolgere la terapia, crede di non averne bisogno. Jeanne inizia con un esercizio che include l’utilizzo di un orologio e chiede al paziente di nominarne le componenti. Ho chiesto a Alessandra Duca se sia una pratica comune e se esistano altri metodi che si usano durante la terapia.

“Il trattamento logopedico del paziente afasico può variare a seconda del deficit linguistico presente. In generale, l’obiettivo principale è il recupero della capacità di usare il linguaggio e migliorare la sua abilità comunicativa.

Nel film l’ortofonista propone ad Alain un esercizio di denominazione, gli viene chiesto di dire il nome delle varie parti dell’orologio. Il protagonista pur riconoscendole, non riesce a pronunciarle correttamente. Ad esempio, “lancetta” diventa “pancetta”. Sostituire uno o più suoni all’interno di una parola è un errore comune nella persona afasica, si parla di parafasie fonemiche.

Gli esercizi di denominazione, come questo, vengono spesso utilizzati nel trattamento dell’afasia, soprattutto quando il paziente fa fatica a recuperare le parole che vuole dire (quando ha delle anomie). Il recupero è lungo e faticoso: spesso nelle prime fasi, il paziente tende a dimenticarsi la parola appresa dopo pochi giorni. Per questo può essere utile partire da situazioni più concrete (come andare allo zoo) e non da puri esercizi di denominazione (come quelli dell’orologio), che risultano astratti e poco significativi.

Tuttavia, gli esercizi di denominazione costituiscono solo una piccola parte del trattamento. Altri esercizi che vengono proposti frequentemente al paziente afasico sono esercizi di comprensione (di parole, frasi o testi), attività di conversazione (faccia a faccia, al telefono…), o esercizi specifici a seconda del processo linguistico danneggiato: fonologia (si lavora sui singoli suoni o sillabe), lessico (esercizi con le parole), sintassi (costruzione di frasi, descrizione di immagini…)”.




A una settimana dall’ictus Alain deve presentare un discorso importante per il lancio di una nuova automobile al Salone di Ginevra o, come lo chiama lui a causa dell’ictus, di Genoveffa. L’ortofonista lo aiuta facendogli ripetere il discorso numerose volte ma Alain non riesce a ricordare alcune parole, oltre a non pronunciarle pienamente bene. La logopedista suggerisce ad Alain di creare nuove connessioni ogni qualvolta non riesca a ricordare o a pronunciare una parola. Ad esempio, se non ricorda la parola “Cina” deve arrivarci tramite associazione di idee o di immagini (pensando, per esempio, al paese più grande del mondo o alla dinastia Mao, o al karatè). Ho chiesto a Alessandra come funziona esattamente.

“Quando l’ortofonista dice ad Alain che deve creare nuove connessioni, tramite associazioni di idee o di immagini, vuole aiutarlo nel recuperare più velocemente, dalla memoria, quelle parole che tende a dimenticarsi. Spesso, infatti, il paziente afasico dimostra difficoltà nell’apprendere nuove informazioni. Inoltre, di norma, in queste persone la parola non reperita non è persa del tutto, da qualche parte viene conservata, ma semplicemente non è accessibile in quel momento. L’associazione di un’idea o di un concetto (es. karatè) ad una determinata parola, che spesso viene dimenticata (es. Cina), la rende più facilmente accessibile favorendo così il suo recupero. Infatti, in questo modo nella mente, si crea una catena di immagini legate tra loro che permetterà un recupero più rapido della parola che serve. Questo perché la memoria funziona per associazione di immagini. Pensiamo agli studenti quando devono studiare e imparare dei concetti, una delle tecniche più utilizzate è proprio quella delle associazioni mentali. Ad esempio, se devo ricordarmi che il gas più leggero è l’elio penserò a un palloncino che vola.

Più collegamenti e associazioni vengono trovati tra le parole più queste saranno ricordate velocemente”.



Il film fa sorridere perché Alain tende a sostituire le lettere di una parola con altre presenti al suo interno e il risultato è molto comico; caffè diventa facchè, grado diventa drago, whisky viene tramutato in “skywhy”, grazie mille è sostituito da mazie grille e così via. Alain ovviamente non se ne rende conto, al punto da salvare sul telefono la propria logopedista come “la psicopatica”. A colpire è la scena del colloquio di lavoro, quando Alain si accinge a trovare una nuova occupazione dopo essere stato licenziato a causa del suo problema. Durante il colloquio l’uomo è convinto di parlare in modo chiaro e fluente ma chi lo ascolta non riesce a capire nulla. Ho chiesto a Alessandra se ci sono diverse tipologie di danneggiamento del linguaggio e come avviene la rieducazione in termini di modi e tempi.


“A seconda della sede della lesione e della sua estensione, l’afasia può manifestarsi in forma più o meno grave e colpire, singolarmente o in varie combinazioni, la comprensione e la produzione del linguaggio sia orale che scritto.

Esistono vari modi di classificazione dell’afasia, più o meno condivisi. Una prima (e comune) distinzione viene fatta tra le forme fluenti e quelle non fluenti. Le prime sono caratterizzare da un eloquio produttivo, talvolta abbondante, tipicamente costituito da parole appropriate e da parole prive di nesso, con prosodia nella norma (come per Alain); l’afasico non fluente, invece, ha un eloquio ridotto, costituito da poche parole o brevi frasi con prosodia anormale. Anche la tipologia di errori nel parlare può essere diversa: errori fonologici (sostituzioni di suoni, es. “facchè” per “caffè”), lessicali e semantici (es. l’anomia: difficoltà a recuperare una parola oppure quando Alain dice “voglio cucire da qui” per “uscire”), e sintattici (frasi non corrette grammaticalmente).

La terapia dell’afasia varia in base al tipo di problema linguistico. Trattandosi di un disturbo complesso, nel quale incidono molti fattori, il recupero può essere più o meno ottimale. Nei primi mesi dopo l’evento, il disturbo ha la tendenza a migliorare spontaneamente. Nella maggioranza dei casi però il recupero è solo parziale. Per questo motivo diventa importante la riabilitazione neuropsicologica, motoria e logopedica. L’intervento logopedico risulta efficace se svolto per periodi lunghi (anche anni) e in modo intensivo (2 ore al giorno). Un ruolo fondamentale, nel mantenimento dei progressi raggiunti tramite la terapia, è svolto dai familiari del paziente che dovrebbero supportare e seguire le strategie del logopedista anche a casa”.




Sono anche i familiari di Alain ad aiutarlo nel percorso verso la guarigione, durante il quale l’uomo riscopre l’importanza dei legami affettivi riavvicinandosi alla figlia, portando a spasso il proprio cane e aiutando la logopedista a ritrovare una persona a lei cara. Oltre al valore degli affetti, Alain riscopre quello della gentilezza e dell’interesse verso il prossimo. Il viaggio terapeutico di Alain include itappe di crescita personale che lo spingono a riassaporare piaceri quotidiani da tempo dimenticati a causa dell’ossessione per il lavoro. Parlami di te è un film che dimostra come un uomo debba perdere le proprie capacità per capire come sia fondamentale fermarsi ogni tanto e godersi la vita.


Parlami di te (Un Homme Pressé) è un film del 2018 diretto da Hervé Mimran. In Italia il film è uscito nelle sale il 21 febbraio 2019. La storia è ispirata al libro J'étais un homme pressé: AVC, un grand patron témoigne di Christian Streiff, ex CEO di Airbus e del gruppo PSA che nel 2008 rimase vittima di un ictus e fu licenziato in tronco a causa di esso. Dopo una lunga riabilitazione, Christian è riuscito a tornare a ricoprire posizioni di rilievo. Dal 2013 è Vice Chairman presso il consiglio di amministrazione di Safran S.A.



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